Giuseppe Nuvolari fu Gaspero. Uno dei Mille
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- Pubblicato Martedì, 11 Novembre 2014 09:15
- Scritto da Viviana Simonelli
Da un’agiata famiglia di grandi proprietari terrieri di Barbassolo, piccolo borgo nei pressi di Roncoferraro, nel Mantovano, il 27 febbraio 1820 (ma il giorno è controverso), da Gaspare e Francesca Mantovani, nasce Giuseppe Antonio Maria Nuvolari. Le origini familiari sono antiche e dai registri parrocchiali risulta che i Nuvolari fossero residenti nel borgo sul Mincio già dal Seicento e che avessero aumentato negli anni la loro ricchezza con acquisti di terre molto fertili, risaie e fittanze di fondi da coltivare.
Nato in una famiglia molto coesa, di stampo contadino e cresciuto in un’area geografica di rilevante valore agricolo e proto industriale, Giuseppe Nuvolari forma il suo carattere nella cultura dell’austerità, dell’autodeterminazione, dell’impegno e dell’amministrazione efficiente: principali capisaldi della mentalità produttiva degli imprenditori in Lombardia e in tutte le regioni del Nord Italia.
In quegli anni di inizio Ottocento, l’aristocrazia lombarda, anche se non aveva perso le terre, aveva altresì perduto gran parte degli atavici privilegi giuridici del censo, mentre l’alta borghesia agraria, diventata latifondista, stava crescendo in parallelo, sia per forza economica che per rinnovata identità sociale. Tra le due classi sociali comincia a profilarsi un vero conflitto di interessi.
Storie fuori dalla Storia: i contadini veneti di fine XIX secolo
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- Pubblicato Mercoledì, 18 Dicembre 2013 17:38
- Scritto da Anna Malvestio
Il protagonista dell’emigrazione di massa veneta di fine XIX secolo è il mondo rurale. Prima di fare qualsiasi considerazione al riguardo, è necessario delineare brevemente la situazione in cui vivono migliaia di contadini veneti nell’Italia postunitaria. Innanzitutto, da un punto di vista sanitario, le condizioni disperate, dovute ad un’eccesiva miseria, portano alla diffusione di numerose malattie provocate dalla totale carenza di igiene: acqua putrida, case malsane e mancanza di servizi igienici. Contadini e poveri vengono per lo più colpiti da malattie ripugnanti quali la pellagra, che ha come prima manifestazione la “pelle arsa”, squamosa, provocata dal nutrirsi di quel solo cibo che dà sazietà ma non sostanza: la polenta. La scarsità di alimenti come carne, formaggio e uova, ricchi di apporti proteici e grassi, comporta un indebolimento fisico che, con il tempo, prostra al letto conducendo, nei casi peggiori, a pazzia e morte. A seguire, la tigna, che aggredisce il cuoio cappelluto; la scròfola, che lo altera; la rogna o scabbia che costringe a grattarsi fino al formarsi di vere e proprie piaghe, nonché parassiti infestanti quali pidocchi, pulci e cimici1.
Il pellegrinaggio a Vallepietra nelle corrispondenze di Cesare Pascarella giornalista, viaggiatore e fotografo
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- Pubblicato Martedì, 21 Maggio 2013 09:51
- Scritto da Viviana Simonelli
Testo pubblicato in occasione della Mostra a Roma “Fede e tradizione. Un secolo di immagini sul pellegrinaggio al Santuario della Santissima Trinità di Vallepietra”, 2006
Bonito: Zi’ Vicienzo Camuso trentacinque anni dopo…
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- Pubblicato Sabato, 18 Maggio 2013 16:20
- Scritto da Guglielmo Lützenkirchen
Verso la fine degli anni '70 del secolo scorso la rivista "Medicina nei Secoli" (vol. XV, 1978, 427-439), edita dall'Istituto di Storia della Medicina dell'Università La Sapienza di Roma, pubblicava i risultati di un'indagine sulla devozione rivolta nel centro irpino di Bonito ad un corpo mummificato cui il popolo aveva attribuito il nome di Vincenzo Camuso ed un buon numero di interventi taumaturgici.
L’«accabadura»: storiografia di un geronticidio in Sardegna tra mito, ritualità, letteratura di viaggio e tradizione orale
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- Pubblicato Mercoledì, 15 Maggio 2013 22:55
- Scritto da Viviana Simonelli e Andrea Mulas
Le prime testimonianze scritte sull’uccisione rituale dei vecchi in area mediterranea risalgono all’antichità classica, in prevalenza intorno al III secolo a.C.
Le diverse attestazioni antiche di tale pratica presentano tuttavia ulteriori elementi che, a loro volta, hanno generato un grave equivoco di fondo, il quale, ha poi inficiato qualsiasi susseguente lettura del rituale eutanasico, denominato in ambito sardo come accabadura.