Hans Memling

Angeli musicanti

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Balie, infanti e militari

Napoli, Villa Comunale, c. 1905 (foto A. Krieg)

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Scherzi 'fin de siècle' durante una gita fuori porta

c. 1895

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Mastrotitta

La storia vista dai 'pelati'

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Il pellegrinaggio a Vallepietra nelle corrispondenze di Cesare Pascarella giornalista, viaggiatore e fotografo

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Testo pubblicato in occasione della Mostra a Roma “Fede e tradizione. Un secolo di immagini sul pellegrinaggio al Santuario della Santissima Trinità di Vallepietra”, 2006

 

 

Partenza!Partenza!Partenza! - il treno non s’era ancora mosso che i miei compagni di viaggio, tutti soci più o meno valorosi del Club Alpino, mi avevano già messo due limoni sulla bocca dello stomaco, un barometro e un contapassi nei taschini del panciotto, una bussola nella borsetta del tabacco, e due carte geografiche nelle saccocce della giacca. 1  

 

 Con queste parole il poeta e pittore Cesare Pascarella, giovane fotoreporter amatoriale di uno Ottocento che sta per finire, racconta ai lettori del Capitan Fracassa, in una serie di brillanti articoli, la sua prima esperienza di viaggio sul Monte Autore, imponente massiccio che domina nel Lazio la parte centrale dei monti Simbruini.

Sono i giorni del maggio 1883, anno molto importante per il Santuario di Vallepietra, perché sta per essere inaugurato il restauro delle pitture dentro la grande edicola sacra, scavata nella roccia ad oltre 1330 metri di altezza.

L’opera è stata eseguita con un contributo governativo, ottenuto per interessamento e cura dell’ingegnere Edoardo Martinori, vice Presidente della sezione romana del C.A.I., e attraverso il sostegno scientifico del primo presidente della sezione, senatore Giuseppe Ponzi, geologo, che, all’epoca, era anche Presidente della Reale Accademia dei Lincei (nominato il 13 gennaio 1871).

L’affresco rappresenta l’immagine della Trinità, dipinta tra i secoli XI e XII, con tre figure di Cristo benedicente uguali, in una versione iconografica non ortodossa e non più approvata dalla Chiesa cattolica, ma tollerata a scopo devozionale. 2

L’escursione in montagna, descritta da Pascarella con dovizia di particolari, prevede, infatti, la salita al Santuario della Santissima Trinità a Vallepietra, in compagnia degli amici e soci del Club Alpino, pionieri di straordinarie scalate, a scopo spesso scientifico. Queste le sue parole: Intanto ci lasciamo dietro i pellegrini che salgono il monte lentamente, cantando di tempo in tempo giaculatorie, e dopo un altro po’ di cammino arriviamo a Vallepietra. E’ già notte buia. Traversiamo il paese e andiamo subito a trovare l’arciprete, amico nostro e del Club Alpino, che gli ha affidato la direzione di un osservatorio pluviometrico. 3 

 

Sappiamo dalle corrispondenze, dai taccuini e dalle biografie che Cesare Pascarella amava cimentarsi in queste imprese, e che il suo viaggiare in Italia e nel mondo non conosceva ostacoli. Era un abile nuotatore ed anche un podista eccellente con una elasticità fisica e muscolare non consegnata in dono dalla genetica ma dall’allenamento costante. Era soprannominato “lo scimpanzé” per l’agilità del corpo e per un certo ghigno sardonico, un po’ furbetto che illuminava gli occhi in un viso nascosto da una fitta barbetta.

Aveva ottimi garretti il nostro piè veloce e sino alla fine conservò l’abitudine di fare lunghe passeggiate fuori della cerchia delle mura di Roma: erano i suoi invidiati galoppetti, come li chiamava con orgoglio, quando se ne andava a piedi anche per sette, otto giorni!

I connotati nel suo passaporto rilasciatogli nel 1885, all’età di 27 anni, indicano: statura bassa, capelli castagni scuri, sopracciglia idem, occhi castagni, barba idem, segni particolari: cicatrice a lato dell’occhio destro, condizione: pittore, nato a Roma il 28 aprile 1858 da un padre ciociaro e da una madre piemontese.

Già da ragazzino il Pasca scopre la sua Roma arrampicandosi spesso sulle “botticelle”, e, come scrive Fabrizio Sarazani nella biografia, è: piccolo, sveltissimo, somiglia alla scimmia della Torre che lo vide nascere. Ricordando da vecchio queste sue fughe, dirà: “Erano le mie prime gesta da viaggiatore”. 4

 

Tutta la giovinezza di Pascarella è legata alla trasformazione della Roma papalina descritta dall’umorismo tagliente di Gioacchino Belli, perché fino al 1870, anno dell’unità nazionale del Regno, la città ha, infatti, conservato inalterata l’identità di un popolo ignorante, campagnolo e molto povero.

Un popolo, quello romano, che nonostante l’umile condizione sociale, è fiero di parlare un dialetto spregiudicato e colorito, ricco della boriosa consapevolezza di un fulgido passato imperiale, carico di storia.

Di questa romanità orgogliosa di se stessa, tra umorismo e satira, si nutre la poetica di Pascarella, amante dei classici e di Orazio in particolare.

Il mondo poetico pascarelliano è reso ancora più originale dal filtro della sensibilità artistica espressa nel disegno e nella pittura, suoi inseparabili strumenti di conoscenza, soprattutto nelle lunghe passeggiate per la campagna romana.

Amava, infatti, uscire “fuori porta”, insieme al gruppo dei XXV pittori suoi amici, tutti iscritti al Circolo Artisti (in particolare Coleman, Carlandi, Biseo, Vassalli, Bizzarri, Sgambati e Sartorio) 5 e poi era sua abitudine prendere appunti e disegnare durante i numerosi viaggi fatti in giro per il mondo, con tante guide in valigia e in tasca, come un portafortuna, una piccola edizione della “Divina Commedia”: una specie di vadecum con annotazioni manoscritte.

Quante volte le sue belle fotografie ci riportano ai disegni e agli schizzi con gli stessi soggetti e paesaggi!

La curiosità verso il particolare caratteristico che fa colore e un raffinato occhio pittorico rendono, infatti, moderna e molto vivace anche la sua scrittura nei taccuini, negli articoli e nelle prose.

Leonetta Cecchi Pieraccini, pittrice e moglie dell’amico carissimo Emilio Cecchi, riporta questa testimonianza sui leggendari itinerari di chilometri e chilometri fatti da Pascarella: Viaggiare a piedi è un intonarsi via via alle cose, come uno strumento si accorda all’orchestra. Quando arrivi al termine esplodi, canti, sei al colmodella gioia. Nei miei viaggi fatti a piedi, ho avuto emozioni che hanno rasentato la pazzia: una pazzia superiore, intendiamoci. 6

 

Pasca era solito dire che la sua intima passione per il disegno era ispirata dalla poesia: egli amava disegnare quasi tutti i modelli protagonisti dei suoi sonetti. Dipingeva con le parole e parlava con i disegni, fedelissimo ai suoi somarelli, in cui identificava la pazienza e la sopportazione degli umili.

Purtroppo l’editore Treves, non convinto del successo dell’iniziativa, rifiutò la proposta di pubblicare un suo volume di poesia vernacolare “illustrata”, stroncandone definitivamente il progetto.

Ma nelle corrispondenze, soprattutto di viaggio, l’elemento poetico e pittorico pascarelliano ritorna arricchito di notazioni storiche, psicologiche ed antropologiche, di descrizioni giornalisticamente efficaci e di sapiente messa a fuoco dell’evento, che successivamente si trasformerà nell’oggetto di studio di un nuovo, moderno interesse: la fotografia.

 

A 25 anni così Pascarella giornalista scrive di Vallepietra: Mentre il Simbrivio scende e noi saliamo per la ripida via mulattiera, da lontano, fra i rami degli alberi, vediamo brillare qualche lume.