Preti e monaci in alcuni proverbi e modi di dire dell'Italia centro-meridionale*
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- Categoria: Tradizioni popolari
- Pubblicato Giovedì, 03 Aprile 2014 16:59
- Scritto da Guglielmo Lützenkirchen
Caratteristico del mondo agro-pastorale è l’atteggiamento contrastante tra fede ed istituzione ecclesiastica: al tradizionale, profondo rispetto verso il divino – rappresentato da Dio, dal Cristo, dalla Madonna e dai Santi in genere – fa riscontro una decisa e molto spesso aspra contestazione del clero, quasi sempre visto, tra l’altro, come più o meno apertamente schierato dalla parte delle classi dominanti. Tale contrasto si manifesta evidente in proverbi ed in modi di dire (e,seppur più raramente, in filastrocche ed indovinelli)1, molti dei quali presentano una notevole diffusione in aree piuttosto distanti fra loro. Molto spesso fortemente anticlericali e talvolta anche violenti soprattutto nei confronti dei sacerdoti, ma mai antireligiosi2, essi hanno indubbiamente avuto origine soprattutto in quei particolarissimo momenti di incontro e di scambio costituiti dai pellegrinaggi, durante i quali non di rado potevano sorgere, da parte dei fedeli, motivi di insoddisfazione e di polemica verso quanti proprio quegli eventi religiosi si sentivano gli unici autorizzati a ‘gestire’.
E’ da rilevare, comunque, come il principale motivo di contrasto tra il clero ed il popolo restasse maggiormente quello legato al fattore economico – molto sentito, naturalmente, sia dalle masse rurali diseredate che, sull’altro versante, dalla classe dei cosiddetti ‘galantuomini’ – per cui gli ecclesiastici erano avvertiti come una minaccia, ritenuti com’erano insaziabili ed avidi di danaro e di beni materiali.3
Il più noto fra questi proverbi – largamente attestato, pur con lievi modifiche, in tutto il Mezzogiorno – è senz’altro
“Cu ppriévete, muónece e cane ha’ ra stà sèmpe cu na mazza mmane”4
Con preti, monaci e cani devi stare sempre con un un bastone in mano
Riportato qui nella versione dialettale di Solofra (AV)5, cui è fatto seguire il commento: “Preti, monaci (frati) e cani sono esseri petulanti, egoisti ed infidi, datenere a distanza con precauzione e con un … minaccioso bastone. Una terna pericolosa, quindi, nella quale vengono incluse, in una variante, anche le donne.”6Lo stesso proverbio è così spiegato altrove: “Mentre è chiara la minaccia rappresentata dai cani randagi affamati e rabbiosi, invece stupisce [sic!] la parte riferita ai religiosi. Erano talvolta malvisti a causa della questua che chiedevano con una certa regolarità o per la gelosia di alcuni mariti che non vedevano di buon occhio la presenza maschile (seppur in abiti religiosi) nei pressi della casa e delle loro donne.”7Meno convincente è, invece, l’interpretazione suggerita per una versione lucana (“Muonici e cani statti sempe ccu na mazza mmano”: qui il prete è assente) che vorrebbe far risalire il detto ai tempi del brigantaggio, quando “i banditi per entrarein paese si travestivano da monaci. Comunque è evidente il tono scherzoso. Inquanto ai cani […] essi non godevano molto della simpatia delle nostre massaie.”8
E ’in ogni caso consigliabile evitare la continua frequentazione dei sacerdoti poiché
“Ru prèiete hé gna ru carvóune se nde cóce te tëgne”9
Il prete è come il carbone: se non ti scotta ti tinge
Più brutalmente sbrigativo appare, invece, un proverbio che raccomanda di passare senza alcuna esitazione alle vie di fatto nei confronti degli ecclesiastici; registrato in area salentina10 (ma con una certa diffusione anche in quella laziale11) esso recita:
“Mòneci, prieti e ppàssari, càzzani la capu e llàssali”
Monaci, preti e passeri, schiaccia loro la testa e lasciali perdere
Altrettanto ferocemente anticlericali risultano due espressioni dialettali della zona abruzzese-molisana, alle quali si ricorre quando, mescendolo, cade un po’ di vino:
“Hé mèglie se bba ndèrra na stézza de sànghe de preiete nno héuna de véne”12
E’ meglio che cada a terra una goccia di sangue di prete che una di vino
o, nella stessa circostanza, più sbrigativamente:
“Mèglje n’ uócchje de prèjata ndèrra”13
Meglio un occhio di prete a terra
Dalle espressioni riguardanti i religiosi emerge, comunque, un diverso atteggiamento popolare nei confronti dei sacerdoti e dei monaci. I primi sono presi di mira perché visti collusi con il potere, chiusi nei loro privilegi, ma soprattutto eccessivamente attaccati al danaro14: quel danaro e quei beni che riescono ad ottenere in ogni momento più importante della vita dei fedeli, spesso ricorrendo anche ad abili sotterfugi nei quali sono ritenuti indiscussi maestri (non a caso “I preti studiano quattordici anni: sette pe’ fregà e sette pe no fasse fregà.”15)
“Quandu nasci ‘u prèviti pasci, quandu ti mairit ‘u previti ‘mbiti, quandu mori ‘upreviti godi”16
Quando nasci alimenti il prete, quando vai a nozze inviti il prete, quando muori il prete gode
In quest’ultimo caso, in Sicilia si suole affermare che
“'N tempu di disgrazii, parrini beddi sàzii”
Nei momenti di disgrazia i preti sono belli sazi
Secondo il popolo i preti sono abilissimi ad accumulare beni, oltretutto senza il minimo sforzo: non a caso, quindi, si è comunemente portati a ritenere che
“Si ‘a fatica fosse bbòna, ‘a facessero pure ‘e priévete”17
Se la fatica fosse una cosa buona, la farebbero anche i preti
Il prete è insomma, tra i religiosi, l’oggetto privilegiato di detti e proverbi quasi tutti di segno indubbiamente negativo: lo dimostra il fatto che
“I prèvete tènn la cuscienza nére accómu e la tòneche”18
I preti hanno la coscienza nera come la tonaca
Per cui non è affatto da meravigliarsi se
“Lu ‘Nfiérn églia fatt re chiireche re priévete”19
L’inferno è lastricato di chieriche di preti
A questo proposito non si può non ricordare come la figura del sacerdote sia immancabilmente presente tra le statuette delle “anime purganti” – circondate dalle fiamme e con le braccia levate al cielo – che si osservano nelle edicole sacre sparse nei vicoli della vecchia Napoli.
Non è da dimenticare, infine, il terribile potere jettatorio attribuito ai sacerdoti, evidenziato nel sicilano
“Li parrini di niuru ti la jèttanu, di jancu ti carrìanu"
I preti [vestiti] di nero ti portano sfortuna, [vestiti] di bianco di trasportano [al cimitero]
Le classi popolari, che pur criticano pesantemente il comportamento dei sacerdoti e la loro venalità, devono tuttavia provare una certa invidia per quelle famiglie “benedette” dalla presenza – per nascita, però, non per acquisizione – di un prete se comunemente si ammette:
“Iata [o benerétta] a quéra casa chi tène ‘na chiirica rasa”20
Beata quella casa in cui c’è una chierica rasa
O, con un’espressione tratta dall’attività contadina, si insiste, ancora una volta, sulla fortuna di avere un sacerdote come parente stretto, paragonando quest’ultimo addirittura ad un suino, le cui carni – che assicureranno l’alimentazione familiare per lungo tempo – sono già pronte per la lavorazione:
“Chi tene ‘o préote rint’ ‘a casa, tene ‘o puorco accìso”21
Chi ha il prete in casa, ha il maiale ucciso
In ogni caso, il benessere economico è finalmente raggiunto:
“Prèvëtë ngàsa, panë assëcuràtë”22
Prete in casa, pane assicurato
E non solo: certamente molto di più, se qualcuno giungeva ad affermare che
"Nu mulin e ‘na chièrica rasa mantènin’ sett’ cas’”23
Un mulino e una chierica rasa mantengono sette case
o anche come, considerati gli elevati guadagni, si diceva in Sicilia
“Un furnu è un figghiu parrinu”
Un forno è come un figlio prete